Anni ’70: rivolte e riforme

Il decennio inizia con la “strategia della tensione” (dalla strage di piazza Fontana del dicembre 1969 a quelle di piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus nel 1974). Per fronteggiare l’emergenza del terrorismo e l’instabilità politica acuita dall’avanzata elettorale delle sinistre i due partiti maggiori tentano di raggiungere un accordo con il «compromesso storico» che prevede l’appoggio esterno del partito comunista ai governi democristiani ma con scarsi risultati e che vede la sua fine naturale con la morte di Aldo Moro.

Viene meno l’auspicato e profondo rinnovamento della politica, mentre si afferma la partitocrazia con l’occupazione del potere nell’industria di Stato in un regime di inefficienza e di spreco che comporta il fallimento di settori decisivi quali quello dell’acciaio e della chimica. A decidere degli investimenti è sempre meno il mercato e sempre più il rapporto con la classe politica, con i partiti di governo, se non proprio con le loro correnti e articolazioni locali. La “razza padrona” dei manager dell’industria di Stato è portata a legittimarsi con indebite erogazioni di denaro ai partiti. Gli scandali delle tangenti petrolifere, della Lockheed e dell’Italcasse rivelano un salto di qualità della corruzione che diventa un metodo con assegnazione di percentuali fisse. La lottizzazione delle migliaia di cariche di nomina pubblica nelle USL, alla RAI e alle Regioni determina il prevalere delle logiche del centralismo partitico e del governo spartitorio. Il sopravvento della partitocrazia incide sulla crisi e sull’indebolimento delle istituzioni, mentre si assiste ad un riflusso dei movimenti collettivi, tranne quello femminista. Viene varata la legge che istituisce il finanziamento pubblico dei partiti.

Vi è uno scaricamento nel pubblico delle difficoltà di tutti (la crisi economica del 1973 acuita dallo shock petrolifero) per cui la spesa pubblica che diventa «il pericoloso ventre molle…» con il privilegiamento del personale statale e parastatale e innesco di rincorse corporative. Anche l’inflazione che sale al 20% è segno di un mantenimento del consenso basato sempre più su elargizioni a gruppi territoriali, ceti, corporazioni.

Tende a modificarsi la struttura economica del paese: dalla dominanza – perlomeno simbolica o culturale – delle grandi fabbriche al delinearsi della “Terza Italia” delle piccole imprese e del sommerso. Ciò genera uno sviluppo fuori regole (lavoro a domicilio, lavoro “nero” e rinuncia di diritti formalmente riconosciuti), senza badare ai danni sull’ambiente e sul territorio anche dopo la mancata riforma urbanistica negli anni ’60. Quello che conta è il reddito, il guadagno immediato (unico metro di valore) mentre i valori collettivi vengono dopo. Pasolini parla di «laicizzazione senza valori» della società italiana, mentre il Rapporto Censis del 1975 rivela che «mai come in questo periodo, dal dopoguerra in poi, vi è stato un così basso livello di moralità civile e di convivenza collettiva….e una così scarsa identificazione con l’interesse collettivo».

Vi è tensione tra la «grande intensificazione dei meccanismi individuali di promozione» (reddito, istruzione e consumi) e il contemporaneo «sviluppo di solidarietà collettiva», assieme all’istanza ad una maggior partecipazione che si affievoliscono insieme alle ideologie. Il civismo tende a cedere rispetto ad un clima di riflusso e di ripiegamento sull’interesse privato e sull’edonismo consumistico.

Nel quadro della crisi della democrazia italiana si colloca il rafforzamento dei gruppi mafiosi che estendono la loro presenza nell’Italia settentrionale (affari importanti nei sequestri di persona e nel commercio della droga) e riprendono gli omicidi nei confronti di rappresentanti delle istituzioni.

La Chiesa postconciliare invece rinnova la propria pastorale, nasce la Caritas e con essa un concezione dell’assistenza intesa come promozione della persona e risposta di giustizia.

Nel calendario del decennio il 1997 va menzionato come anno di violenza politica giovanile senza precedenti, innescata dal “Movimento” degli studenti dei grandi atenei (soprattutto Roma e Bologna) trasformati in luoghi di aggregazione di migliaia di giovani. Essi, sospesi fra precarietà dello studio e precarietà del lavoro, si sfogano con una «violenza che nasce al confine fra frustrazione e disperazione», dalla perdita di fiducia nel futuro, elemento essenziale, invece, della generazione del ’68 in ribellione contro la società del benessere. I giovani del ’77 rappresentano la rivolta contro la società del malessere, la mancanza di prospettive. «Prevale il nihilismo, seppur mascherato da allegria», con spinte all’autodistruzione – comincia a diffondersi il consumo di eroina – o alla distruzione, che spiega il flusso di giovani verso le Brigate Rosse e altre organizzazioni violente. Questo “brodo di coltura” ha contribuito ad alimentare gli “anni di piombo” che culminano con l’«assalto al cuore dello Stato» attraverso l’uccisione di Aldo Moro e della sua scorta (1978).

Paradossalmente l’anno del movimento degli studenti è anche quello del “riflusso” e del prepotente ritorno del “privato”, della ricerca di evasione nell’edonismo consumistico e nella «dolcezza di vivere» (boom delle discoteche e della disco-music) ma anche come ricerca di affermazione personale sul piano dell’imprenditorialità, fenomeni che sembrano contrastare la forte politicizzazione precedente.

Pur in un proscenio non favorevole il decennio è stata una stagione dei diritti civili e di riforme in campo sociale e sanitario, grazie anche alla “maggioranza legislativa” che si viene a costituire in Parlamento, sopravanzando quella governativa, inaccessibile al principale partito di sinistra: legalizzazione dell’obiezione di coscienza, legge sul divorzio e referendum confermativo, introduzione della democrazia nelle scuole con i decreti delegati, nuovo diritto di famiglia (L. 151) e istituzione dei Consultori, riforma del sistema carcerario, superamento dell’ospedale psichiatrico con l’attivazione di servizi di salute mentale (L. 180) e legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. Sul piano istituzionale va menzionata la nascita delle Regioni, la territorializzazione dei servizi e il superamento degli enti nazionali d’assistenza nonché la riforma del sistema sanitario nazionale.

Il decennio si chiude mettendo in discussione il mito della classe operaia come «la principale motrice della storia» (Giovanni Berlinguer) per il modificarsi dei modi di pensare e dei vissuti così come per i processi materiali che attraversavano il mondo del lavoro e la fine della stagione fordista. Non è un caso che in pochi anni gli occupati del gruppo Fiat passano da 210 mila a meno di 130 mila.

Gli anni ’70 sono quelli delle riforme e della caduta delle illusioni, delle ideologie e della democrazia di base; ma anche della violenza politica e allo stesso tempo della disaffezione per la politica e per i partiti, e quindi della partecipazione con un ripiegamento nel privato, la propensione sfrenata ai consumi e al divertimento di massa, e la perdita di fiducia in valori, mai seriamente messi in dubbio prima, come lo sviluppo, il progresso e la crescita. E’ un periodo contrassegnato da contraddizioni, slanci, delusioni e rimozioni.